Il primo maggio 1947 a Portella della Ginestra, in Sicilia, si consumò la prima strage nel Paese di cui non si sarebbero mai scoperti e puniti i mandanti.
Durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo dello sbarco degli Alleati in Sicilia, nell’isola era sorto un movimento separatista che mirava alla secessione dallo Stato italiano. Questo movimento fu alimentato dal fenomeno del banditismo di cui fu protagonista Salvatore Giuliano.
Giuliano, nato a Montelepre da una famiglia contadina, nel settembre 1943, sorpreso da una pattuglia di carabinieri mentre trasportava del grano destinato al mercato nero, uccise un carabiniere. Da quel momento Giuliano divenne un ricercato: a capo di una banda armata, compì rapine, sequestri di persona e omicidi di esponenti delle forze dell’ordine impegnate a contrastare il banditismo. Il mito di Giuliano, che in una Sicilia fiaccata dalla miseria lo dipingeva come un giustiziere buono e generoso, si infranse proprio a Portella della Ginestra: mentre era in atto una manifestazione di braccianti e contadini, la banda di Giuliano sparò sulla folla, uccidendo 11 persone e ferendone molte. Questo eccidio fu interpretato come una risposta ai risultati delle elezioni regionali che si erano svolte in aprile ed erano state vinte dal Blocco del Popolo, un’alleanza social-comunista.
Intorno alla figura di Giuliano e alla strage di Portella della Ginestra restano ancora molte ombre: il bandito fu una pedina manovrata dalle forze collegate al blocco agrario siciliano, alla mafia o ai servizi segreti USA per accelerare sul piano nazionale l’estromissione dei partiti di sinistra dal governo?
Giuliano, che sognava una Sicilia indipendente, con stretti rapporti con gli Stati Uniti, fu ucciso il 5 luglio 1950 probabilmente dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta; solo nel 1962 fu nominata una commissione d’inchiesta sulla strage di Portella della Ginestra che, tuttavia, non giunse a conclusioni unitarie.