Ci sono immagini, opere d’arte e luoghi che fanno parte dell’immaginario e del linguaggio collettivo del nostro Paese. Nell’ambito dell’arte greca classica, se ci venisse chiesto di descrivere due guerrieri dalle forme perfette, probabilmente non esiteremmo nel delineare i Bronzi di Riace, le due statue bronzee realizzate ad Argo, nel Peloponneso, che raffigurano due uomini nudi con barba e capelli ricci, che giacevano in fondo al mar Ionio, dopo esser stati gettati in acqua, durante una tempesta, per alleggerire l’imbarcazione che li trasportava.
Era il 16 agosto del 1976 quando Stefano Mariottini, un subacqueo romano, informò le autorità di Riace Marina (Reggio Calabria) della presenza di due statue sul fondo del mare, poco distante dal porto. Una squadra di archeologi, guidata dal dottor Giuseppe Foti, le riportò in superficie, recuperando una testimonianza dello splendore della Magna Grecia. Le due sculture, indicate come A e B, risalenti alla metà del V secolo a.C., appaiono solenni e orgogliose con i piedi ben poggiati a terra, anche se hanno perso l’originale patina dorata, lo scudo e la lancia che impugnavano. Subito dopo la loro scoperta, fu eseguito un lungo e importante lavoro di pulizia e conservazione presso l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze che ha valorizzato i differenti materiali con cui i Bronzi sono stati realizzati: i due guerrieri, infatti, presentano labbra e capezzoli in rame, occhi in avorio e denti in argento.
Festeggiamo, dunque, il 50esimo anniversario di quell’eccezionale ritrovamento che ha riportato alla luce due capolavori che rappresentano appieno l’aspirazione dell’arte greca a esprimere la bellezza ideale.