Nell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo alimentiamo la memoria della Resistenza per non dimenticare quanti lottarono per restituire la libertà e la dignità degli individui negate dai regimi totalitari.
In Italia la nascita della Resistenza partigiana coincise con la caduta del regime fascista e con gli avvenimenti che seguirono l’armistizio con gli angloamericani: l’8 settembre 1943, infatti, Pietro Badoglio, il nuovo capo del governo, annunciò via radio l’entrata in vigore dell’armistizio di Cassibile, concluso dopo un periodo di trattative segrete condotte col comando angloamericano.
Da quel momento l’Italia si trovò divisa: il centro e il nord del Paese subirono l’occupazione tedesca e la presenza di un nuovo governo fascista con sede a Salò, sulle rive del lago di Garda, totalmente dipendente dal regime hitleriano, mentre il sud era stato liberato dagli angloamericani. In quel drammatico contesto il fenomeno della Resistenza assunse le proprie forme: fu una guerra di liberazione contro il nemico tedesco, una guerra civile fra gli italiani e una guerra di classe per coloro che pensavano di poter creare una società socialista al termine del conflitto. Tuttavia, nella memoria del fenomeno della Resistenza resta ancora marginale una particolare forma di resistenza di cui furono protagonisti i militari italiani internati (IMI). Nell’autunno del 1943 i soldati italiani, in patria e all’estero, furono disarmati e catturati dai tedeschi. Coloro che si rifiutarono di combattere nelle file dell’esercito tedesco o in quelle della Repubblica Sociale Italiana furono condotti nei campi di prigionia tedeschi e privati delle tutele garantite ai prigionieri di guerra. Circa 600mila prigionieri furono trasformati dal regime nazista in lavoratori coatti ma, nonostante le pessime condizioni di vita cui furono sottoposti nei campi, a causa delle quali molti persero la vita, gli internati furono capaci di esercitare, anche se spesso solo in modo passivo, una forma di resistenza al nazifascismo.
di Ilaria Lembo