Piero ascoltava insieme al nonno le canzoni di Claudio Villa e conosceva molto bene anche il repertorio di Domenico Modugno. Il nonno era non vedente ma inseriva le cassette nel registratore con gesti sicuri, poi si metteva in attento ascolto del brano. A volte spiegava al nipotino degli aneddoti legati alla canzone o al cantante con l’intento di stimolare la sua curiosità, ma di solito ascoltava e basta, muovendo la mano secondo il ritmo mentre riecheggiava la musica per tutta la campagna di Naro. Piero non stava fermo, giocava o aiutava la nonna a pulire le verdure, ma nello stesso tempo ascoltava e si appassionava al “bel canto”. Qualche volta andava ad aiutare il padre in officina e anche lì le canzoni amate dal nonno echeggiavano: il papà faceva salire il ragazzino su una delle tante macchine da riparare e da quel palco inconsueto e improvvisato Piero cantava con vocione possente “Granada, città del sole e dei fior, il mio canto è l’ultimo addio d’un nostalgico cuor!” e ogni volta stupiva i clienti. Si pensò allora, durante una riunione di famiglia, visto il successo riscosso nel coro parrocchiale, di farlo partecipare a concorsi canori e ogni volta Piero riscuoteva ammirazione e premi. Fu in una delle tante selezioni che incontrò altre “voci potenti” come la sua. Quella volta, la gara era stata organizzata da una importante rete televisiva nazionale ed il nonno Ernesto non aveva dubbi, di certo Piero avrebbe vinto anche stavolta perché la sua era la voce più bella in assoluto! Il nonno glielo ripeteva sempre, anche quando gli faceva ascoltare Pavarotti, e con questa convinzione pagava le lezioni di canto e di pianoforte dal maestro privato. Piero era felice, non solo per i vestiti che il papà gli aveva comprato nel negozio più costoso del paese ma soprattutto perché poteva cantare accompagnato da una vera orchestra. Le sue esibizioni erano applaudite dal pubblico e apprezzate dagli esperti, ogni settimana superava gli altri concorrenti. Gli organizzatori gli fornivano in anticipo le canzoni da studiare e Piero, senza trascurare i compiti di scuola, si esercitava con il maestro di canto. Si meravigliò quando gli consegnarono il testo del celebre brano “O’ sole mio” perché vide che era stato diviso in tre parti. «Non canterai da solo. Ci saranno altri due tenori ad eseguire il brano insieme a te: siete una squadra ora!» gli disse uno degli organizzatori. Che vuol dire essere una squadra? E poi, chi erano gli altri due ragazzini? Piero chiese subito consiglio al nonno, cosa doveva fare? «Cantare è come volare! I voli più lunghi si fanno insieme agli altri, non da soli!» rispose nonno Ernesto.