Racconto di zia Martina e zio Davide a Riccardo e Rebecca
Era una di quelle sere in cui la pioggia batteva piano sui vetri, e il profumo del cioccolato caldo riempiva tutta la casa dei nonni. I nipoti erano sparsi sul divano con le coperte fino al naso, mentre zia Martina sistemava le foto su un vecchio album dalle pagine consumate. Zio Davide, seduto accanto a lei, aveva un sorriso che già prometteva meraviglie.
«Avete mai sentito il ruggito di un leone all’alba?» chiese lui, con tono teatrale.
«O visto il cielo tingersi di arancione sopra la savana?» aggiunse zia Martina, sfogliando una pagina con delicatezza.
I bambini si guardarono tra loro, con gli occhi spalancati. «No…»
«Allora è il momento giusto per raccontarvi del nostro viaggio in Kenya,» disse zia Martina, «una terra dove la natura parla forte, i colori sembrano più vivi, e ogni giorno è un’avventura.»
«Siamo partiti con uno zaino, una macchina fotografica e tanta voglia di scoprire l’Africa vera,» continuò zio Davide. «E quello che abbiamo vissuto laggiù… beh, non lo dimenticheremo mai. E ora… ve lo raccontiamo.»
Zio Davide si schiarì la voce, mentre Rebecca si raggomitolava ancor di più nella coperta.
«Tutto è cominciato all’alba, nel cuore della savana. Eravamo su una jeep scoperta, il motore quasi non si sentiva, e attorno a noi… solo silenzio. Ma un silenzio pieno di vita.»
«Poi, all’improvviso,» lo interruppe zia Martina con un sorrisetto, «vediamo sbucare una giraffa altissima, elegante come una ballerina. Ci guardava curiosa, come per dire: ‘Cosa ci fate voi qui?’»
I bambini risero, mentre lei continuava:
«E non era sola. Poco dopo, proprio lì vicino, un branco di elefanti attraversava lentamente il sentiero. Erano enormi, ma camminavano con una calma che ti faceva sentire minuscolo e fortunato.»
Zio Davide mimò un binocolo con le mani. «E sapete cosa abbiamo visto poi? Un leone. Sdraiato sotto un’acacia, con l’aria da re. Non faceva nulla, ma la sua sola presenza ci faceva restare zitti, senza fiato. Era… maestoso.»
Zia Martina annuì, poi cambiò tono: «E dopo giorni di polvere rossa, tramonti infuocati e notti sotto un cielo pieno di stelle, siamo partiti verso un altro angolo di paradiso: la costa del Kenya.»
Gli occhi dei bambini si illuminarono. «Il mare?»
«Sì,» rispose zia Martina. «L’Oceano Indiano. Acqua calda e trasparente, palme ovunque, e sabbia bianca che sembrava borotalco. Ogni giorno ci tuffavamo tra i pesci colorati e le barche dei pescatori.»
«E una mattina,» aggiunse zio Davide con aria da complice, «abbiamo nuotato con i delfini. Davvero! Erano liberi, veloci, e sembravano quasi giocare con noi. Non dimenticherò mai quel momento.»
«Il Kenya è così,» concluse zia Martina, guardando i nipoti con dolcezza. «È un posto che ti entra nel cuore. E anche se siamo tornati da un po’, ogni tanto, chiudendo gli occhi… sentiamo ancora il rumore degli elefanti, il profumo dell’oceano, e il canto delle stelle sopra la savana.»
Zia Martina rise, ricordando qualcosa. «E poi c’è stato quel giorno… oh, bambini, non potete immaginare cosa è successo a vostro zio!»
Zio Davide alzò gli occhi al cielo, ma sorrideva. «Ecco, sapevo che l’avresti raccontato…»
«Eravamo in un piccolo villaggio vicino alla costa,» proseguì lei, «e c’era un mercato coloratissimo: frutta che non avevamo mai visto, stoffe dai colori accesi, spezie che profumavano l’aria. A un certo punto, una signora gentile ci invita ad assaggiare qualcosa che sembrava una frittella.»
«Io, ovviamente, ho detto subito di sì,» intervenne zio Davide, «senza chiedere cosa fosse. L’ho morsa tutta d’un fiato… ed era piccante. Ma piccante davvero! Sembrava di avere un vulcano in bocca!»
Riccardo e Rebecca scoppiarono a ridere, e zia Martina si divertiva a mimare la scena: «Correva tra le bancarelle con la faccia rossa come un peperone, cercando acqua ovunque!»
«Alla fine ho bevuto il latte di cocco da una noce appena tagliata… e mi sono salvato!» disse zio Davide, con tono trionfante. «Da allora, però, leggo sempre le etichette… anche se non ci sono!»
Dopo le risate, zia Martina abbassò un po’ la voce, diventando più seria.
«Ma sapete qual è stato il momento più bello di tutti? Una sera, al tramonto, siamo stati invitati a una festa in un piccolo villaggio. C’erano tamburi, canti e danze attorno al fuoco. Nessuno parlava molto inglese, e noi non conoscevamo lo swahili, ma non importava. Bastava un sorriso.»
Zio Davide annuì. «Ci hanno insegnato una danza tradizionale. Io, ovviamente, ho sbagliato tutti i passi, ma ridevano con me, non di me. E alla fine… ci siamo sentiti parte di qualcosa di più grande. Di una famiglia che non conosce confini.»
«È lì che abbiamo capito una cosa,» concluse zia Martina, guardando i nipoti uno ad uno. «Che viaggiare non è solo vedere posti nuovi. È ascoltare, imparare, ridere, e portarsi dentro le storie degli altri».
Il fuoco nel camino, a casa dei nonni, scoppiettava piano, mentre fuori la pioggia continuava a cadere lieve. I bambini erano ormai silenziosi, con gli occhi pieni di immagini lontane: le giraffe tra gli alberi, i delfini nell’oceano, le danze sotto le stelle africane.
Zio Davide si stiracchiò con un sorriso e abbracciando con gentilezza la sua Martina disse «Chissà… magari un giorno ci torneremo.»
«O forse sarete voi a partire,» disse zia Martina, accarezzando i capelli della piccola Rebecca. «A fare il vostro primo viaggio, a scoprire il mondo con occhi nuovi.»
«E a tornare con una storia da raccontare davanti a un camino, proprio come questa,» aggiunse zio Davide.
I bambini annuirono piano, stringendosi l’uno all’altro. Non volevano che la storia finisse… ma sapevano che i racconti belli non si perdono mai: si conservano nel cuore, pronti a tornare ogni volta che si chiudono gli occhi.
Zia Martina spense lentamente l’ultima candela.
«Buonanotte, esploratori miei. E sogni… africani.»

