C’era una volta, tra montagne vellutate e boschi che profumavano di timo selvatico, un minuscolo borgo di nome Monteluce.
Sull’altopiano, il Castello Falco si innalzava come un gigante di pietra: le sue torri parevano beccucci d’aquila che scrutavano il cielo.
In fondo alla valle correva il fiume Lùmina, limpido, canterino e un pò chiacchierone.
Sulle sue acque danzavano due ponti antichi a schiena d’asino: il Ponte dei Sogni, gentile e robusto, e il Ponte della Stella, elegante come un violino.
Nel castello abitava la principessina Elena, una bambina dai ricci color rame e dagli occhi curiosi come lucciole.
Elena non collezionava gioielli: collezionava domande.
Nel suo zainetto portava sempre tre tesori: una lente d’ingrandimento, un gessetto azzurro per disegnare il mondo e un sacchetto di semi che profumavano di primavera.
Ogni aurora, quando il cielo era ancora rosa confetto, Elena scendeva a saltelli verso il Ponte dei Sogni.
Là l’attendeva il suo inseparabile compagno, Cocci, un asinello grigio‑argento con orecchie così grandi da poter acchiappare il vento.
Appena la vedeva, Cocci faceva «I‑ò, I‑ò!» e batteva gli zoccoli: la giornata poteva cominciare.
Una mattina il Lùmina non cantò la sua solita canzone, ma gorgogliò cupo: «Glu‑glu‑glu… aiuto!»
Elena si avvicinò all’acqua scintillante e trattenne il respiro: «Il mio ponte perde i sassi! – sussurrò il fiume – Se la corrente se li porta via, nessuno potrà più attraversarmi: né bimbi, né asinelli e nemmeno i sogni che viaggiano da una riva all’altra!»
Il cuore di Elena fece tum‑tum‑tum come un tamburo.
Balzò sulla groppa di Cocci e galoppò verso la casa del Maestro Pietrino, lo scalpellino dalle mani nodose capaci di intagliare persino la luna, se solo avesse potuto.
«Il ponte si sta sbriciolando!» esclamò Elena, ansimando.
Pietrino aggrottò le sopracciglia, poi annuì lentamente: «Servono Sassi d’Oro: pietre lucide e coraggiose che non temono l’acqua. Le troverai soltanto nella Grotta di Ombroluce, oltre il Ponte della Stella… ma fai attenzione al Gufo Ombroso che lì dimora!»
Elena rabbrividì, ma la decisione brillava già nei suoi occhi.
Accarezzò il muso di Cocci e infilò i semi profumati in una tasca vicino al cuore.
«Allora andiamo!»
Il Ponte della Stella li accolse con pietre tiepide di sole.
«Toc‑toc‑toc» facevano gli zoccoli dell’asinello.
Entrarono in un bosco fitto: felci giganti frusciavano segreti, uccellini‑flauto trillavano melodie, e lucciole danzavano come piccole stelle cadute.
All’improvviso comparve l’imboccatura della grotta, buia e gonfia di mistero.
Elena accese la sua lanterna: la luce tremolante disegnò ombre giganti sulle pareti.
Due occhi gialli, rotondi come monete, si spalancarono dall’alto.
Flaaap! Il Gufo Ombroso spiegò ali scure come mezzanotte: «Chi disturba il mio silenzio?» gracchiò con una voce che sapeva di echi lontani.
Elena tremò fino ai calzini, ma fece un passo avanti: «Sono Elena. Devo salvare il ponte che il fiume ama… Ho bisogno dei Sassi d’Oro!»
Il gufo inclinò il capo, curioso di tanta audacia.
Notò il sacchetto di semi che spuntava dal gilet.
Strinse le palpebre.
«Porti germogli dove regna il buio… Non sei venuta a rubare, ma a rincuorare. Ti concederò i Sassi d’Oro, se in cambio seminerai qui la luce dei tuoi fiori.»
Con un sorriso che pareva un raggio di sole, Elena scavò nella terra umida all’ingresso della grotta.
Nascose i semi, li annaffiò con un sorso d’acqua del Lùmina e, piano piano, raccolse una sporta colma di pietre luccicanti di mica: i leggendari Sassi d’Oro.
Il viaggio di ritorno fu una corsa contro il tramonto.
Il cielo si dipinse di arancio mandarino, poi di porpora.
Cocci trottava con passo deciso e le stelle cominciavano a sbocciare.
Giunti al Ponte dei Sogni, Elena consegnò i Sassi d’Oro al Maestro Pietrino.
Tic, tac, toc! Martellò lo scalpellino, incastonando ogni pietra come fosse un gioiello nel diadema del ponte.
Quando posò l’ultima, il Lùmina esplose in un canto nuovo: «Plin‑plin‑plin! Gra‑zieeeeee»
Le luci del borgo si accesero.
Tutti gli abitanti, grandi e piccoli, attraversarono il ponte restaurato tenendosi per mano.
Dal Castello Falco rintoccarono tre campane di festa: DIN! DON! DAN!
E quella stessa notte, alla Grotta di Ombroluce, sbocciarono minuscoli fiori bianchi che profumavano di miele.
Il Gufo Ombroso chiuse gli occhi soddisfatto, respirò a pieni polmoni quell’aria nuova e si addormentò felice, con un sorriso piumato.