Nel febbraio del 1997 appare sulle pagine di Nature l’articolo “Progenie vitale derivata da cellule fetali e adulte di mammifero”: si parla di Dolly, il primo mammifero mai clonato, sopravvissuta dopo 276 esperimenti di clonazione falliti.
La rivoluzione che ha condotto a Dolly parte dal concetto di differenziamento cellulare: di cosa si tratta?
Lo illustra bene il modello di Waddington: una cellula in via di differenziamento assomiglia a un sasso che rotoli giù da un pendio. Scendendo, può imboccare scanalature diverse nel terreno (i diversi tipi di differenziamento), ma una volta intrapreso un percorso non potrà mai tornare indietro e imboccare un’altra strada; proprio come un sasso non potrà mai – autonomamente – vincere la forza di gravità, risalire il pendio e scivolare lungo un percorso diverso.
Nei suoi primi giorni di sviluppo l’embrione è composto da cellule pluripotenti, da cui derivano tutti i tessuti di un organismo. Via via che lo sviluppo prosegue, queste cellule si dividono e vengono indirizzate verso uno specifico destino: nascono così cellule specializzate come i neuroni, i globuli rossi o gli epatociti.
Per il differenziamento cellulare dunque la specializzazione di una cellula è un processo irreversibile e unidirezionale. Questo modello è ancora valido per descrivere il differenziamento in condizioni fisiologiche, ma i recenti studi sulla clonazione o la generazione di cellule iPS dimostrano che non è un dogma inviolabile.
Dolly è stato il primo mammifero clonato. Ma, a vent’anni dalla sua nascita, questa definizione non rende giustizia di tutto quello che Dolly ha rappresentato non solo per chi fa parte della comunità scientifica, ma anche per chi ne ha semplicemente seguito le vicende dalle testate dei giornali.
Con Dolly è stato detto che la scienza aveva definitivamente superato un limite etico inviolabile. C’è chi, fin dalle prime settimane, ha pensato che la clonazione umana fosse già dietro l’angolo, pronta a minare valori sacri di un individuo, come l’indipendenza e il diritto all’autodeterminazione.
Eppure, a vent’anni da quel giorno, sappiamo ora che la clonazione è un processo molto difficile, con una percentuale di efficienza bassissima.
Che cosa significa clonare?
Il verbo clonare si riferisce alla produzione di copie geneticamente identiche. Questa procedura può però assumere significati diversi a seconda del contesto.
Con la tecnologia del DNA ricombinante si possono generare migliaia di copie identiche di una sequenza genica. Questo processo, indicato anche come amplificazione genica, è spesso seguito dall’isolamento del frammento di interesse e dal suo inserimento in un vettore (per esempio, per studiare la proteina codificata da quel gene). L’insieme di queste procedure viene generalmente indicato come clonaggio genico o clonaggio di DNA.
È possibile generare copie geneticamente identiche anche di una cellula o, come Dolly ci ha insegnato, di interi organismi. Nell’ambito della biologia dello sviluppo, questo processo prende il nome di clonazione (di cellule o organismi). In questo ambito, si distingue la clonazione riproduttiva, volta a creare organismi identici, dalla clonazione terapeutica, il cui obiettivo è quello di generare embrioni da cui ottenere in vitro tessuti o organi da utilizzare per trapianti.
L’eredità di Dolly
Nonostante la clonazione rimanga una tecnica poco versatile e poco efficiente, con Dolly ha preso avvio il filone della clonazione animale. Maiali, capre, cavalli, gatti e tori sono solo alcuni esempi delle specie che da allora sono state clonate e c’è chi vede in questa tecnologia una possibile ancora di salvezza per le specie in via di estinzione. Ma anche in questo c’è un limite.
Scenari alla Jurassic Park rimangono irrealizzabili e il progetto di clonare un mammut partendo da frammenti del suo DNA è ancora troppo lontano dalle realtà. Anche disponendo di DNA integro, non esistono per queste specie estinte madri surrogate della stessa specie. E questo è un dettaglio tutt’altro che secondario, come dimostra l’esperimento con l’ibex dei Pirenei. Nel tentativo di clonare questa capra selvatica (estinta nel 2000) è stata utilizzata come madre surrogata una capra simile, ma non identica, e l’ibex clonato è morto poco dopo la nascita. Le potenzialità di questa tecnica potrebbero essere maggiori se applicate a specie a rischio di estinzione, ma con ancora un certo numero di esemplari vivi.
La vera eredità di Dolly va però oltre la clonazione in quanto tale. Più di ogni altra cosa, Dolly ha scosso la rigidità del dogma del differenziamento e ha dimostrato che lo sviluppo non intacca il potenziale del materiale genetico. La specializzazione avviene per espressione selettiva di determinati geni ma, all’occorrenza, anche i geni spenti possono essere riattivati. Tutti questi risultati hanno dato lo spunto ad altri studi, come quello che ha portato alla generazione delle cellule pluripotenti indotte (iPS): queste cellule sono la dimostrazione più eclatante della possibilità di riprogrammare una cellula differenziata e nessuno meglio di loro può raccogliere il testimone di Dolly.