Nel villaggio più puffoso che ci sia
“Chi siano non lo so, gli strani ometti blu, son alti su per giù due mele e poco più”, cantava il motivetto che ha segnato l’infanzia di molti bambini dagli anni ’80 ad oggi. Iconici e intramontabili, i Puffi sono nati nel 1958 dalla matita del fumettista belga Peyo. Il nome originale era Schtroumpf, una parola senza significato alcuno. L’origine è legata a un aneddoto raccontato dallo stesso Peyo, che chiese a un amico di passargli la saliera in un momento dove non ne ricordava il nome; per farlo utilizzò proprio il termine «schtroumpf» e l’amico rispose: «Tieni il tuo puffo, e quando avrai finito di puffarlo, me lo ripufferai!». Fu la nascita di questo nuovo termine che in italiano è stato tradotto, appunto, come “puffo”.
Così Peyo ebbe l’idea di inserire questi nuovi personaggi nel fumetto al quale lavorava, intitolato “John e Solfamì”, uno scudiero e un buffone di corte. In un episodio, Solfamì suona un flauto evocando così i Puffi. Da allora, i piccoli omini fecero diverse apparizioni in questo fumetto, diventando i protagonisti di una storia autonoma che debuttò nel 1959 nel numero 1107 di “Le Journal de Spirou”, un settimanale di fumetti belga. In Italia apparvero per la prima volta nel 1964 sul Corriere dei Piccoli. Fu l’inizio di un grande successo dove i Puffi divennero i protagonisti di una prima serie animata in bianco e nero nel 1961 e poi della successiva serie della Hanna-Barbera Productions negli anni ’80-’90; in seguito, sono stati realizzati anche cortometraggi e film.
La parola “puffo” ha poi dato origine a un linguaggio particolare usato da queste piccole creature, posta come radice sia per indicare oggetti che per comporre aggettivi, come “puffoso” o “puffare”. Nomi, aggettivi e verbi così costruiti assumono quindi un significato diverso a seconda del contesto; il “linguaggio puffo” fu studiato anche dal grande Umberto Eco che nel settembre 1979, su Alfabeta n. 5, pubblicò il saggio Schtroumpf und Drang, dedicato alla semantica della lingua dei Puffi.
Immerso nella natura, forse verso il confine franco-belga, vivono i puffi. Non sono gnomi, nè elfi, nè nani, ma simpatici e strani personaggi tutti blu che indossano pantaloni e un grande cappello bianchi, tranne Grande Puffo che è vestito di rosso. Vivono in un villaggio dove le casette sono dei coloratissimi funghi e condividono tutto: dal proprio lavoro alle puffbacche. Questo popolo è guidato e illuminato da Grande Puffo, sempre attento a proteggere i suoi puffi dal malvagio mago Gargamella e dal suo gatto Birba. I puffi sono circa un centinaio, sono tutti uguali ma i personaggi principali si distinguono dagli altri per alcune peculiarità che possono riguardare il loro aspetto, il loro mestiere, il loro carattere e le loro attitudini. Oltre a Puffetta e Bontina, il resto dei puffi sono tutti maschi.
I Puffi di Pufflandia, sono molto golosi di puffbacche, raccolte fuori dai confini del sicuro villaggio rischiando di essere catturati da Gargamella; in ogni episodio si crea un’avventura con protagonisti diversi amici e nemici dei Puffi: Madre Natura, Gargamella, Bue Grasso, Padre Tempo, John e Solfamì, Lenticchia, Birba, Gherardo, Omnibus, Baldassarre e tantissimi altri. Ogni avventura però ha il suo lieto fine e si conclude con la Festa del Villaggio e l’immancabile danza dei Puffi.
L’ antagonista dei puffi è Gargamella, un vecchio stregone alchimista che vive in un castello in rovina nella foresta, sempre accompagnato dalla sua fedele gatta Birba e dall’apprendista stregone Lenticchia. Gargamella è ossessionato dai puffi e le prova davvero tutte per catturarli, anche se loro riescono sempre a sfuggirgli. Il suo scopo, oltre che mangiarli, è quello di utilizzarli per bollirli in un pentolone insieme al veleno di serpente per provare a creare la pietra filosofale in grado di trasformare i metalli in oro.
Puffa di qua, puffa di là, puffa allegramente
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